giovedì 9 marzo 2023

Tetraktys, Parte Prima, ‘L’enigma del Tempio/Tetraktys’ di Luigi Pentasuglia





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Il Rinascimento, l’epoca artistica per definizione, è anche quella che annovera il più alto numero di opere ermetiche rimaste insolute. Opere di ingegni del calibro di Piero della Francesca, Leonardo, Botticelli, Pontormo e Giorgione, tutti, direttamente o indirettamente, partecipi di interessi pseudo e proto-scientifici - quali la cabala, l’ermetismo, la negromanzia, la magia, l’astrologia, l’alchimia ecc., -  interessi che convivono allegramente trasfondendosi l’uno nell’altro. Ecco che avventurarsi in un simile ginepraio d’intenti è cosa ardua se non s’intuisce il file ruoge concettuale che sottende ogni singola opera.




Una pista indiziaria la fornisce l’impianto geometrico del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Le pareti laterali convergono prospetticamente come i lati di un triangolo nel punto focale alle spalle di Gesù; su ciascun lato sono affissi 4 grandi pannelli scanditi frontalmente da 4 gruppi di apostoli con al centro il Messia. L’allusione è al simbolo pitagorico della Tetraktys: il triangolo equilatero formato da 10 punti di cui 9 laterali e 1 al centro





La Tetraktys è un simbolo ‘parimpari’ nel senso che concilia numeri pari e dispari: il 10 contenuto nel tri-angolo; il tri-angolo che ha per lato il 4. In tal senso la Tetraktys esprime il principio universale di ‘coincidenza degli opposti’, per certi versi assimilabile al simbolo taoista del T’ai chi che armonizza i poli opposti Yin (principio femminile) e Yang (principio maschile), ma estendibile a ogni sorta di dicotomia (ombra/luce, notte/giorno, freddo/caldo, sotto/sopra, ecc.).



Il termine greco Tetraktys [dal gr. τετρα) richiama i primi quattro numeri naturali che sommati fanno 10 a sua volta riducibile a 1 che è il numero del Demiurgo. Il metodo di sommare un numero di più cifre per ricavarne una sola è nella mistica ebraica (la cabala) chiamato ghematria.




Sorprende, inoltre, che nella cabala il nome di Dio venga associato al simbolo del Tetragramma, una dissimulazione della Tetraktys i cui punti sono sostituiti dalle 4 consonanti formanti il nome di Dio ‘Jahvé’. In verità, questa sorta di travaso simbolico trova giustificazione nelle misure del Tempio di Salomone riportate nel Primo Libro dei Re. 



L’immagine in alto a sinistra fornisce un’idea prospettica approssimativa del Tempio di Salomone. La figura al centro mostra, in prospettiva, la navata con la cella cubica del Sancta Sanctorum destinata a ospitare l’Arca dell’Alleanza. La terza immagine in basso a destra riproduce la sezione della facciata su foglio millimetrato: a un millimetro corrisponde un cubito ebraico (ca mezzo metro). Nel Primo libro dei Re c’è scritto che la facciata misura 20 cubiti di larghezza x 30 cubiti di altezza; sui lati si ergono le ali del magazzino disposte su tre piani a riseghe di larghezze pari a: pianterreno 5 cubiti; piano centrale 6 cubiti; piano superiore 7 cubiti.  




Figura A. Come si è detto, sul fondo della navata si trova la cella cubica di 20 cubiti di lato o Sancta Sanctorum destinata a ospitare l’Arca dell’Alleanza. Al suo interno sono collocati due cherubini di legno d’ulivo con le ali spiegate, ciascun cherubino delimita uno spazio quadrato di dimensione pari alla metà del Sancta Sanctorum.
Figura B. Nulla tuttavia ci dice il Primo libro dei Re sulla disposizione delle colonne Jachin e Boaz tanto celebrate negli ambienti muratori. D’altezza pari a 18 cubiti le disporremo dunque nella stessa posizione simmetrica e centrale dei due cherubini. Tracciando dalle estremità della base due rette oblique che intercettano i punti apicali delle colonne è quindi possibile delimitare un triangolo equilatero.
Figura C. Disegnando le diagonali interne alle colonne e l’orizzontale passante per il loro punto d'intersezione per poi intercettare i lati obliqui del triangolo, è possibile individuare i 10 punti equidistanti della Tetraktys.
Ci chiediamo: come poteva Salomone familiarizzare con la Tetraktys quattro secoli prima di Pitagora? In verità i reperti archeologici collocano la redazione dei Libri dei Re in epoca pitagorica!




Il processo di cristianizzazione della Tetraktys è già un fatto compiuto nel passo giovanneo della cacciata dei mercanti dal Tempio. Sta scritto che Gesù sferzò i mercanti ammonendoli: «Distruggete questo Tempio e in 3 giorni lo farò risorgere»; i Giudei obiettarono: «Questo Tempio è stato costruito in 46 anni e tu in 3 giorni lo farai risorgere?». La risposta del Messia manca sostituita dalla glossa dell'evangelista secondo cui Gesù si riferiva non a un ‘tempio fisico’ ma al «Tempio del suo corpo»! In verità, il monito di Gesù di far risorgere in 3 giorni ciò che è stato costruito in 46 anni ha del contraddittorio, nel senso che il Figlio di Dio non necessita certo di 3 giorni per ottemperare al miracolo: lo fa e basta! Ne deduciamo che i numeri 3 e 46 rivestono una valenza simbolica. Infatti la somma ghematrica di 46 (4 + 6) è 10, ossia il numero della Tetraktys. Perciò l’obiezione dei Giudei «Questo Tempio è stato costruito in 46 anni e tu in 3 giorni lo farai risorgere» andrebbe così riformulata: «come puoi tu conciliare il 10 con il 3?». La risposta è ovviamente la Tetraktys: il tri-angolo formato da 10 punti.




La cristianizzazione della Tetraktys prosegue con il Chrismon (), il simbolo che la leggenda vuole sia apparso all’imperatore Costantino insieme alla scritta In hoc signo vinces* prima della vittoriosa battaglia di ponte Milvio contro Massenzio. Le lettere greche X (chi) e P (rho) sovrapposte, iniziali di Cristos, oltre a inscriversi perfettamente nella Tetraktys ne rivelano la quintessenza geometria. Battezzato in articulo mortis Costantino non abolì il culto degli dei: se da un lato le sue monete riportano il Sol Invictus, dall’altro l’Arco di Trionfo celebrativo della vittoria su Massenzio non reca affatto il Chrismon! Inoltre, nel ruolo di Pontifex Maximus Costantino pose le basi del cesaropapismo, la politica degli imperatori bizantini prima, del Sacro Romano Impero dopo, che accentrava i poteri spirituale e temporale nelle mani dell’imperatore.
 



Cesaropapisti furono gli imperatori svevi Hohenstaufen auto-investitisi del sacerdozio veterotestamentario dei re d’Israele Davide e Salomone. È quanto emerge dall’immagine di Enrico VI, figlio di Barbarossa e padre di Federico II. L’imperatore regge con  la mano destra lo scettro imperiale con l’indice puntato verso un enigmatico cartiglio a forma di 'pi greco' (Õ) che regge con l’altra mano: un’allusione alle due colonne del Tempio di Salomone? Un argomento, questo, che affronteremo nella seconda parte.





Tetraktys, Parte Seconda, ‘Il codice VV’ di Luigi Pentasuglia

 


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Ripartiamo dall’ultima slide della prima parte con l’immagine di Enrico VI Hohenstaufen, figlio di Barbarossa e padre di Federico II. Il sovrano regge con  la mano destra lo scettro imperiale e con l’altra un enigmatico cartiglio che sembra evocare le colonne del Tempio di Salomone. Per avvalorare questa ipotesi sarà tuttavia necessaria una premessa teorico musicale.






L’immagine ‘A’, a sinistra, mostra la sesta corda ‘Mi’ della chitarra contrassegnata da 4 punti equidistanti in corrispondenza dei punti della base della Tetraktys. Intercettando alternativamente i due punti centrali - laddove si trovano le colonne salomoniche evidenziate in verde - questi produrranno la nota ‘Si’, ossia la quinta nota sopra l’accordatura della corda (Mi, Fa, Sol, La, Si): da qui il codice ‘VV’ associato alle colonne del Tempio di Salomone. L’immagine ‘B’, a destra, mostra come i due punti centrali siano rispettivamente a 2/3 dal punto più lontano: la frazione 2/3 è infatti indicativa del rapporto geometrico dell’intervallo di quinta. La sovrapposizione delle due misure nel terzo mediano della corda conferiscono alle colonne la valenza simbolica di ‘coincidenza degli opposti’. 




Ritornando all’immagine di Enrico VI Hohenstaufen, il codice ‘VV’ associato alle colonne è criptato nelle orecchie alla base del cartiglio: alla prima ‘V’ allude l’ampia piega in basso della fascia destra; alla seconda ‘V’ allude la piccola piega della fascia sinistra platealmente stretta dal sovrano fra l’indice e il pollice della mano destra. Ancora alle colonne salomoniche allude infine lo scettro gigliato in analogia ai capitelli del Tempio descritti nel Primo Libro dei Re.




La damnatio memoriae che colpì gli Hohenstaufen dopo la sconfitta degli ultimi rampolli della casata, Manfredi e Corradino, rispettivamente figlio e nipote di Federico II, non impedì un rigurgito di politica cesaropapista in chiave filobizantina. L’occasione fu il concilio di Ferrara e Firenze (1437-39) per la riunificazione delle chiese latina e ortodossa. La Cappella dei Magi (1459) di Benozzo Gozzoli rievoca quella circostanza effigiando la famiglia Medici e alcuni barbuti dignitari bizantini tra cui, forse, Giorgio Gemisto Pletone l’ispiratore della scuola neoplatonica greca di Mistrà nel Peloponneso. 





Al seguito della delegazione bizantina guidata dall’imperatore Giovanni VIII Paleologo figura anche il dottissimo Basilio Bessarione che, dopo il concilio, sarà nominato cardinale con funzione mediatrice tra Oriente e Occidente. Fu così che Bessarione poté mettere in atto una politica di fatto ambigua: se da un lato con fare guelfo assecondava le mire di Pio II Piccolomini volte alla riunificazione della prima e della seconda Roma (alias Bisanzio) sotto l’egida papale, dall’altro con fare ghibellino esercitava pressione politica perché fosse restituita a Bisanzio la titolarità del Sacro Romano Impero.



Bessarione contava soprattutto sul sostegno di potentati italiani che, secondo la storica di Bisanzio Silvia Ronchey, formavano una sorta di Grande Oriente filobizantino. Primo fra tutti il signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta cugino di Cleopa Malatesta moglie dell’aspirante al trono di Costantinopoli Teodoro II Paleologo. Fervido seguace della dottrina neoplatonica di Gemisto/Pletone, Sigismondo ne tumulò le spoglie mortali in un sarcofago sulla fiancata del Tempio Malatestiano di Rimini, spoglie che egli stesso aveva trafugato a Mistrà durante una spedizione militare contro i turchi.




L’affiliazione neoplatonica di Sigismondo Malatesta è indiziariamente provata dalla sigla personale formata dalle prime due lettere sovrapposte del suo nome ($). La ritroviamo duplicata sullo stemma personale nonché replicata centinaia di volte nel Tempio riminese che papa Pio II aveva stigmatizzato degno «di adoratori dei demoni». La sigla sigismondea denuncia la sfrontatezza del signore di Rimini nell’essersi assimilato al codice ‘VV’: infatti, se per un verso la S suggerisce il numero 5, per altro la I ammicca alla sagoma di una colonna. Sotto questo aspetto c’è poi chi finanche ipotizza il ruolo precorritore della sigla sigismondea dell’originario simbolo valutario americano. 



Nella cella dinastica del Tempio Malatestiano di Rimini si trova il celebre affresco pierfrancescano con Sigismondo in ginocchio di profilo al centro della scena che prega l’omonimo suo protettore san Sigismondo re dei Burgundi. Che si tratti di un gioco ‘al doppione’ è presto detto. Le due colonne salomoniche sono surrogate dalle lesene ai lati di Sigismondo mentre il codice ‘VV’ è criptato nelle 5 scanalature che le solcano invece che le solite ‘6’ come negli affreschi di Masaccio e negli edifici del Brunelleschi. Al codice ‘VV’ rinviano sia le sigle sigismondee sullo stemma in alto al centro sia il gesto delle mani giunte (5 dita su 5 dita) del signore di Rimini. Quanto ai due Sigismondo - l’uno santo, l’altro peccatore – il richiamo è alle colonne Jachin e Boaz tradizionalmente associate ai ruoli di ‘maestro’ e ‘allievo’.




Ad avallare il rinvio delle lesene alle colonne salomoniche concorre lo sfondo architettonico che fa presagire lo sviluppo delle campate laterali come suggeriscono i due verdi festoni parzialmente visibili. In questo modo il numero delle lesene sale a 4, tanti quanti sono punti equidistanti della base della Tetraktys. Trovandosi le due lesene centrali rispettivamente a 2/3 della base rispetto alla lesena più lontana (rammentiamo che la frazione 2/3 esprime il rapporto musicale di quinta), il rinvio è appunto al codice ‘VV’. 




Riguardo ai due levrieri, uno bianco e l’altro nero orientati in senso opposto accucciati alla base della lesena a destra, oltre a rinviare al principio di coincidenza degli opposti occultano il codice ‘VV’ associato alle colonne salomoniche. Infatti, le curve dorsali ricalcano il grafico (evidenziato in rosso) degli intervalli di quinta presenti nel diagramma della lira del pitagorico Filolao, diagramma che, qualche decennio più tardi, comparirà nella Scuola di Atene di Raffaello sulla lavagnetta retta dal giovane accanto a Pitagora. 



Sempre al principio di ‘coincidenza degli opposti’ si ispirano infine i simboli dello scettro, associato al principio maschile, e del globo associato al principio femminile, nelle mani di san Sigismondo, simboli controbilanciati sul lato opposto dalla ‘torre/maschio’ dentro la ‘finestra/tonda’.



mercoledì 8 marzo 2023

Tetraktys. Parte terza: ‘La Flagellazione che non c’è’ di Luigi Pentasuglia

 


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Tra i dipinti più enigmatici del Rinascimento rientra la Flagellazione di Piero della Francesca. L’opera si articola in due distinti settori: a destra, in primo piano, tre uomini paiono intenti a dialogare come incuranti di quanto di tragico sta accadendo a sinistra nell'atrio del palazzo del prefetto della Giudea. In breve l’uomo a destra in abiti orientali è unanimemente identificato con Bessarione; il giovane al centro in tunica rossa sarebbe invece, a parer nostro, il signore di Cesena Novello Malatesta fratello di Sigismondo; quanto all’uomo a destra vestito di prezioso broccato, lo storico Carlo Ginzuburg lo assimila a Giovanni Bacci, il committente degli affreschi pierfrancescani di San Francesco di Arezzo e forse, aggiungiamo noi, anche della Flagellazione che sarebbe stata da lui donata a Novello Malatesta in segno di gratitudine per averlo nominato podestà di Cesena nel 1461.




Il mistero della Flagellazione di Piero della Francesca si svela a partire dagli sviluppi tridimensionale e planimetrico del portico del pretorio di Giudea. La visione prospettica (figura B) chiarisce quella planimetrica (figura C) che mostra le 4 sezioni delle colonne laterali del portico. L’allusione è ai 4 punti laterali della Tetraktys, sicché le due sezioni centrali a 2/3 dalla più lontana evocano il codice ‘VV’ e il principio di ‘coincidenza degli opposti’ a esso associato. Il centro catalizzatore è dunque Cristo, ciò che giustifica il sovrastante cassettone del soffitto inondato di luce solare. 




Qual’è dunque la relazione dei tre personaggi in primo piano con il Cristo flagellato? Un indizio è la scritta Convenerunt in unum che, nel 1839, il pittore tedesco Johan David Passavant dichiarò di aver visto forse sulla cornice della tavola andata persa. Si tratta di una citazione dal Salmo 2 o dagli Atti degli Apostoli riferito a Erode e Pilato ‘convenuti’ contro Cristo. In verità, nel contesto pittorico l’espressione Convenerunt in unum assume tutt’altro significato, segnalando semmai la convergenza dei tre personaggi con il principio cristico incarnato dal codice ‘VV’, avulso perciò da ogni riferimento storico-evangelico.





La chiave di volta è la posa dei tre personaggi, prima fra tutte quella assunta dal giovane al centro sovrapponibile alla postura di Cristo. 




La controfigura dell’uomo occidentale a destra è Ponzio Pilato: entrambi hanno infatti le braccia a riposo distese lungo i fianchi. 





Infine l’alter ego del bizantino Bessarione è l’uomo orientale col turbante: entrambi condividono il gesto della mano sinistra sollevata.




Novello Malatesta - il giovane al centro in tunica rossa ‘alter ego’ di Cristo - tiene le 5 dita del piede destro puntati difronte i piedi di Bessarione. Dunque, la prima 'V' del Codice s’incentra sulla locuzione aggettivale ‘difronte’. Infatti Bessarione ha lo sguardo volto difronte a sé e mostra le 5 dita della mano destra ben distese. Gli fa eco l’uomo col turbante che ha Gesù difronte; chiude infine il cerchio il flagellatore a destra che sta difronte a Gesù e che, di fatto, stabilisce con questi il contatto diretto. 



Nel secondo caso, Novello/Cristo ha le 5 dita del piede sinistro puntate lateralmente i piedi di Bacci. Dunque, la seconda 'V' del Codice s’incentra sulla locuzione aggettivale ‘di lato’. Infatti la controfigura di Bacci, Ponzio Pilato, ha Gesù di lato. La seconda ‘V’ del codice è criptata sia dai 5 supporti di metallo del portastentardo dell'edificio di lato a Bacci, sia dalle 5 pedate e montanti della gradinata di lato a Pilato. Anche in questo caso chiude il cerchio il flagellatore di lato a Gesù.




Tetraktys. Parte quarta: Il ‘Cenacolo’ pitagorico. di Luigi Pentasuglia


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In apertura della rassegna ‘Tetraktys’ abbiamo citato il Cenacolo di Leonardo da Vinci, di colui che della generazione successiva quella di Piero della Francesca sembra aver più di tutti assimilato la ‘lezione esoterica’ del maestro di Sansepolcro. In quell’occasione dicevamo che il Cenacolo ricalca lo schema della Tetraktys con le pareti laterali che convergono come i lati di un triangolo nel punto focale alle spalle di Gesù; sempre sulla falsa riga della Tetraktys osservavamo altresì come su ciascun lato sono affissi quattro pannelli chiusi frontalmente da quattro gruppi di apostoli con al centro il Messia.




A riguardo ci viene incontro la Legeda aurea di Jacopo da Varazze (secolo XIII) che paragona l’apostolo Giacomo Maggiore al sosia del Messia. È dunque naturale che Leonardo lo effigi identico a Gesù: con le braccia allargate e le 10 dita ben distese Giacomo Maggiore incarna il numero della Tetraktys essendo in ciò imitato, sull’altro lato della tavolata, da sant’Andrea martirizzato su una croce a forma di numero ordinale ‘X’ (‘decimo’). 




L’assimilazione di Cristo al codice salomonico ‘VV’ è – si fa per dire – ‘tradita’ dal gesto di Giuda che ostenta le 5 dita della mano sinistra specularmente alle 5 dita della mano destra del Messia. 




Al principio di ‘coincidenza degli opposti’ implicito nel codice allude invece il parallelismo sia geometrico che simbolico che si stabilisce tra un Giuda dai tratti affatto mascolini e un effeminato Giovanni evangelista: se da un lato Giuda con in pugno il sacchetto dei danari del tradimento rinvia alla qualità ‘maschile’ del pieno, dall’altro il vuoto palmare di Giovanni plorante rinvia all’opposta qualità ‘femminile’. 




Il codice salomonico ‘VV’ riaffiora sull’estremità destra della tavolata nel gesto contabile di Simone che tiene il pollice a contatto con il polpastrello del ‘V’ dito; gli annuisce Taddeo che, a sua volta, tiene l'indice e il pollice divaricati a mo’ di numero ordinale romano ‘V’. 






Identica logica guida il gesto di Matteo: le linee degli indici e dei pollici delineano l’accoppiata numerica ‘VV’ disposta orizzontalmente nonché controbilanciata specularmente sull’altro capo della tavolata dai gesti di Giacomo Minore e di Pietro.







Singolare poi il gesto di Filippo: la mano sinistra chiusa a pugno mostra la linea delle 4 nocche allusive del lato della Tetraktys; la nocca mediana superiore, a 2/3 di tal linea, è intercettata dal medio dell’altra mano segnalando la prima V del ‘Codice’: la frazione 2/3 è infatti indicativa dell’intervallo di quinta. La seconda V è criptata nella gestualità di sant’Andrea: le linee interne dei pollici fungono da guide per i lati obliqui di un triangolo virtuale convergenti nel bottone al centro del girocollo. La punta della lama del coltello che Pietro rivolge minaccioso contro sant’Andrea intercetta i 2/3 della base di detto triangolo, segnalando perciò l’intervallo di quinta.






La sagoma di Cristo si staglia sulla luce della finestra alle spalle delineando il numero ordinale 'V' capovolto ribadito, sull'estremità sinistra della tavolata, da Bartolomeo che, con le braccia allungate e le mani saldamente piantate sul tavolo fissa Gesù con fare di sfida. Rammentiamo che il martirio dello scorticamento di san Bartolomeo e lo stesso inflitto da Apollo a Marsia che aveva osato sfidarlo in una gara musicale. Come afferma lo storico dell’arte Edgar Wind, il supplizio dello scorticamento va interpretato come un rito di purificazione mediante il quale la ‘bruttezza’ dell’uomo esterno viene lacerata per rivelare la bellezza divina che alberga in lui. 






È su Tommaso soprannominato Didimo - due nomi che significano ‘gemello’ ‘doppio’ – che cade la scelta di Leonardo per introdurci all’ultimo e più complesso tassello di questo intricato puzzle. L’indice dell’apostolo puntato al soffitto allude al numero ordinale I e, formalmente, alle due finestre laterali. Considerando che la sagoma di Cristo ricalca il numero ordinale V, vien fuori la numerazione palindroma ‘I - V - I’. Sul senso c’instrada l’indice di Tommaso anticipato dalle 5 dita della mano destra Giacomo Maggiore: in altri termini, un invito a considerare il numero ordinale VI.

 






L’idea è sommare due volte ‘I + V’ da sinistra a destra e viceversa. Convertendo quindi in cifre le somme ‘6-6’, coerentemente le sovrapporremo specularmente sì da ottenere la frazione 6/9 indicativa dell’intervallo di quinta. Una frazione, questa, avallata dalla struttura a cassonetto del soffitto additata da Tommaso – non a caso! - scandita da 6 campate longitudinali e 6 trasversali





Tetraktys. Parte Quinta. ‘Interludio giorgionesco: gli albori della massoneria’, di Luigi Pentasuglia


                                    

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Profondo fu il legame del cardinale Bessarione con Venezia da lui appellata ‘seconda Bisanzio’. Alla città lagunare egli fece dono del proprio archivio di manoscritti originali in lingua greca e latina destinato a formare il nucleo umanistico della Biblioteca Marciana. 





L’affiliazione bessarionea degli artisti veneti, primo fra tutti Giorgione da Castelfranco, oltre agli aristocratici committenti, è testimoniata dalla vasta ritrattistica tra cui i seguenti tre esempi. Nei ritratti di Giovane della Gemäldegalerie di Berlino e del Gentiluomo-Goldman della National Gallery of Art di Washington il codice ‘VV’ compare oramai senza più veli sul muretto a sbalzo, tipico della ritrattistica giorgionesca. Nel Ragazzo con la freccia della Kunsthistorisches Museum di Vienna il codice ‘VV’ s’insinua invece sia nella posizione divaricata dell’indice e del medio intersecanti la freccia, sia nell’ampia scollatura del mantello rosso, il tutto è ribadito formalmente e  cromaticamente dalla conformazione bipartita della cocca.





Il simbolismo della ritrattistica giorgionesca include il pressoché onnipresente muro con sbalzo: se da un lato i tratti verticale e orizzontale inferiore alludono insieme alla lettera greca G (gamma), dall’altro i tratti verticale e orizzontale superiore alludono insieme alla lettera greca L (lambda). Ebbene, sappiamo che nella notazione alfabetica medievale la lettera greca  G corrispondeva alla prima nota della scala Sol che in latino significa Sole; d’altro canto la lettera L corrisponde alla lettera latina L iniziale di Luna. Due simboli, questi, che consentono di risalire all’origine del segno distintivo massonico per eccellenza: il compasso - alias la lettera greca L - sovrapposto alla squadra  - alias la lettera greca G. Quanto alla G sovente presente al centro del famoso simbolo muratorio, il rimando è sia alla nota Sol, quinta nota della scala moderna, che all’astro solare, ciò che conferma l’influenza esercitata dal neoplatonismo sulla nascente massoneria.





Ad avallare quanto appena detto concorre il celebre dipinto giorgionesco noto come I tre filosofi. L’uomo orientale poggia il pollice sulla cintola bianca all'altezza del plesso solare: in questo modo il pollice forma con l'indice la lettera G associata al Sole che sta irraggiando la linea dell’orizzonte; l’albero arso alle spalle dell’uomo come il rosso della tunica richiamano invece la forza distruttrice dell’astro. Funge da elemento subalterno il lembo bianco della cintola a forma di lettera L iniziale di Luna. Quanto all'anziano signore in tunica color pallido ocra ‘simil luna’, all’opposto egli si staglia su un ombroso e rigoglioso fondale vegetativo. Se per un verso il cartiglio che regge con la mano destra porta al centro disegnata la falce lunare, per altro con l'altra mano impugna il compasso associato alla lettera L iniziale di Luna. Rileviamo infine che con la stessa mano copre parzialmente un abbozzo del Sole come a sottolinearne il ruolo subalterno.  




Ecco che il simbolo massonico per antonomasia, la ‘squadra e compasso’, si palesa tra le mani del giovane seduto che fissa una buia caverna i cui contorni tradiscono la silhouette di uno yogi nella posizione detta ‘del loto’ prevista dall’Hata-yoga. Ebbene, i termini sanscriti Ha’ e Tha che significano ‘Sole’ e ‘Luna’ sono gli stessi evocati dal compasso e dalla squadra maneggiati dal giovane, per giunta in vesti di tonalità contrastante perciò rappresentativi del principio di coincidentia oppositorum.



Tetraktys. Parte Sesta: ‘One dollar. La banconota di Satana’ di Luigi Pentasuglia

 


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Nel saggio L’enigma di Piero, la storica di Bisanzio Silvia Ronchey menziona Jean-Marie Ragon, esponente di punta della massoneria francese, secondo cui le scaturigini della moderna massoneria risalirebbero ai circoli filo-bizantini bessarionei. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina considerando che alcuni degli affiliati intrattenevano rischiosi rapporti con l’accademia romana d’impronta pagana dell'umanista Giulio Pomponio Leto. È il caso del letterato Bartolomeo Sacchi detto il Platina che, nel 1468, fu fatto arrestare da papa Paolo II con l’accusa di tramare, d’intesa con il signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta, per rovesciare il potere pontificio e instaurare in sua vece un governo repubblicano sull'esempio del tribuno romano Cola di Rienzo (1313-1354). Alla scarcerazione del Platina si prodigò in prima persona proprio Basilio Bessarione.


Alla morte di Bessarione, perseguitati dalla Chiesa, gli affiliati trovarono riparo in Inghilterra gettando qui le basi della massoneria ufficializzata il 24 giugno 1717 con l’inaugurazione della ‘Grand Lodge of London’.





A imprimere una svolta illuminista alla muratoria fu il giurista bavarese Adam Weishaupt* che il 1° maggio 1776 dà vita alla setta degli Illuminati di Baviera che sarà ben presto accusata di connivenza nei fatti che portarono sia alla guerra d’indipendentista americana che alla Rivoluzione francese. Sospette appaiono infatti due date impresse sulla banconota da un dollaro americana: il 1776, incisa sul primo gradino della piramide, è quella sia di indipendenza del Stati Uniti d’America che di fondazione degli Illuminati di Baviera; il 1789 in calce al sigillo del Dipartimento del Tesoro rievoca invece la presa della Bastiglia che inaugura la Rivoluzione francese.






Al corredo rituale degli Illuminati di Baviera appartengono, tra l’altro, alcuni simboli presenti sempre sulla banconota da un dollaro americana: sul recto la Civetta di Minerva che fa capolino in alto a destra; sul verso la piramide e l’Occhio della Provvidenza, quest’ultima associata al culto illuminista della ‘Dea Ragione’.






Ed è proprio la Dea Ragione che affiora bipartita filigranata sui margini destro e sinistro del verso della banconota, precisamente sotto le mentite spoglie di una farfalla (la greca psychè). Associata dai rivoluzionari francesi agli ideali di libertà d'espressione, di pensiero e di uguaglianza, il culto della Dea Ragione contraddice, di fatto, lo spirito puritano dei calvinisti, i Pilgrim Fathers sbarcati sul suolo americano nel 1620. Al pari degli Ebrei essi si ergevano a ‘eletti da Dio’ per fondare la loro ‘nuova Gerusalemme’. 









Un’incongruenza, questa, che si palesa nel sigillo statunitense che riproduce, a sinistra la piramide, a destra l’aquila. A  contraddire la laicità del sigillo tre motti: ‘ANNUIT COEPTIS’ (ha approvato la nostra impresa); ‘NOVO ORDO SECLORUM’ (diamo inizio a un nuovo corso del tempo)*; ‘IN GOD WE TRUST’ (In Dio noi confidiamo). 






La chiave di volta del simbolismo della banconota da un dollaro americana è riposta figurativamente in un dettaglio del sigillo del Dipartimento del Tesoro. È la Tetraktys che compare mimetizzata tra la chiave e la squadra che funge da volta. Quanto ai 13 pentacoli che interpuntano la squadra, l’allusione è agli altrettanti pentacoli formanti la Stella di Davide sopra l’aquila, non a caso formata da due Tetraktys orientate in senso opposto. 


Il ’13’ riveste senza dubbio un ruolo strategico nell’economia simbolica della banconota da un dollaro americana. Ne cogliamo il senso a partire dalla frase – guarda caso di 13 lettere! - ‘e pluribus unum’ (‘da molti uno’) scritto sul cartiglio trattenuto nel becco dall’aquila. Dunque, un invito all’uso della gematria: sommando infatti 1 + 3, il risultato 4 richiama il lato della Tetraktys. Bisogna a questo punto considerare lo scudo davanti all’aquila, scudo solcato da 12 rette orizzontali su 18 rette verticali: dunque un rinvio è alla frazione 12/18, multiplo di 2/3 che è il rapporto geometrico dell’intervallo di quinta. Tuttavia la distribuzione delle18 rette verticali in 6 ordini di 3 suggerisce la semplificazione 6/9. Sicché, come un gioco di scatole cinesi, si passa dalla valenza aritmetica del ‘13’ a quella geometrica del ‘6’. 






I 13 livelli di mattoni che scandiscono i due lati visibili della piramide - uno in ombra e l’altro in luce – sono dunque da interpretarsi come un doppio ‘6’ la cui somma 12 riveste un valore sacrosanto nell’Apocalisse:
 - 12 le stelle in capo alla donna incinta vestita di sole;
 - 12 i basamenti delle mura della Nuova Gerusalemme
 - 12 i nomi degli apostoli riportati sulle mura;
 - 12 mila stadi misura la lunghezza e la larghezza delle mura. 
Dato che i due 6 sono numeratori della frazione 6/9 indicativi dell’intervallo di quinta, essi alludono al codice ‘VV’ come suggerito dalle svolazzanti appendici del carteggio con scritto novo ordo seclorum. Ma c’è dell’altro!






Il computo antiorario – o piuttosto sarebbe meglio dire ‘sinistro’ – delle lettere componenti le espressioni ‘novus ordo seclorum’ / ‘Cœptis’ / ‘Annuit’  - rispettivamente 17, 7 e 6 lettere – formano la data 1776 incisa con caratteri cubitali romani sul primo gradino della piramide. È risaputo che tale data contiene il fatidico numero 666 della Bestia apocalittica. Lo stesso dicasi per l’altra faccia del sigillo: al doppio ‘6’ implicito nelle 13 foglie e 13 olive sul ramoscello d’ulivo tra gli artigli della zampa sinistra dell’aquila, si aggiunge il terzo ‘6’ implicito nelle 13 frecce strette nell’altra zampa. In ultima analisi, la fonte ispiratrice dell’imperialismo monetario americano è l’Apocalisse. Non sta forse scritto che nessuno potrà comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome ?




Tetraktys, Parte Prima, ‘L’enigma del Tempio/Tetraktys’ di Luigi Pentasuglia

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