giovedì 9 marzo 2023

Tetraktys, Parte Seconda, ‘Il codice VV’ di Luigi Pentasuglia

 


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Ripartiamo dall’ultima slide della prima parte con l’immagine di Enrico VI Hohenstaufen, figlio di Barbarossa e padre di Federico II. Il sovrano regge con  la mano destra lo scettro imperiale e con l’altra un enigmatico cartiglio che sembra evocare le colonne del Tempio di Salomone. Per avvalorare questa ipotesi sarà tuttavia necessaria una premessa teorico musicale.






L’immagine ‘A’, a sinistra, mostra la sesta corda ‘Mi’ della chitarra contrassegnata da 4 punti equidistanti in corrispondenza dei punti della base della Tetraktys. Intercettando alternativamente i due punti centrali - laddove si trovano le colonne salomoniche evidenziate in verde - questi produrranno la nota ‘Si’, ossia la quinta nota sopra l’accordatura della corda (Mi, Fa, Sol, La, Si): da qui il codice ‘VV’ associato alle colonne del Tempio di Salomone. L’immagine ‘B’, a destra, mostra come i due punti centrali siano rispettivamente a 2/3 dal punto più lontano: la frazione 2/3 è infatti indicativa del rapporto geometrico dell’intervallo di quinta. La sovrapposizione delle due misure nel terzo mediano della corda conferiscono alle colonne la valenza simbolica di ‘coincidenza degli opposti’. 




Ritornando all’immagine di Enrico VI Hohenstaufen, il codice ‘VV’ associato alle colonne è criptato nelle orecchie alla base del cartiglio: alla prima ‘V’ allude l’ampia piega in basso della fascia destra; alla seconda ‘V’ allude la piccola piega della fascia sinistra platealmente stretta dal sovrano fra l’indice e il pollice della mano destra. Ancora alle colonne salomoniche allude infine lo scettro gigliato in analogia ai capitelli del Tempio descritti nel Primo Libro dei Re.




La damnatio memoriae che colpì gli Hohenstaufen dopo la sconfitta degli ultimi rampolli della casata, Manfredi e Corradino, rispettivamente figlio e nipote di Federico II, non impedì un rigurgito di politica cesaropapista in chiave filobizantina. L’occasione fu il concilio di Ferrara e Firenze (1437-39) per la riunificazione delle chiese latina e ortodossa. La Cappella dei Magi (1459) di Benozzo Gozzoli rievoca quella circostanza effigiando la famiglia Medici e alcuni barbuti dignitari bizantini tra cui, forse, Giorgio Gemisto Pletone l’ispiratore della scuola neoplatonica greca di Mistrà nel Peloponneso. 





Al seguito della delegazione bizantina guidata dall’imperatore Giovanni VIII Paleologo figura anche il dottissimo Basilio Bessarione che, dopo il concilio, sarà nominato cardinale con funzione mediatrice tra Oriente e Occidente. Fu così che Bessarione poté mettere in atto una politica di fatto ambigua: se da un lato con fare guelfo assecondava le mire di Pio II Piccolomini volte alla riunificazione della prima e della seconda Roma (alias Bisanzio) sotto l’egida papale, dall’altro con fare ghibellino esercitava pressione politica perché fosse restituita a Bisanzio la titolarità del Sacro Romano Impero.



Bessarione contava soprattutto sul sostegno di potentati italiani che, secondo la storica di Bisanzio Silvia Ronchey, formavano una sorta di Grande Oriente filobizantino. Primo fra tutti il signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta cugino di Cleopa Malatesta moglie dell’aspirante al trono di Costantinopoli Teodoro II Paleologo. Fervido seguace della dottrina neoplatonica di Gemisto/Pletone, Sigismondo ne tumulò le spoglie mortali in un sarcofago sulla fiancata del Tempio Malatestiano di Rimini, spoglie che egli stesso aveva trafugato a Mistrà durante una spedizione militare contro i turchi.




L’affiliazione neoplatonica di Sigismondo Malatesta è indiziariamente provata dalla sigla personale formata dalle prime due lettere sovrapposte del suo nome ($). La ritroviamo duplicata sullo stemma personale nonché replicata centinaia di volte nel Tempio riminese che papa Pio II aveva stigmatizzato degno «di adoratori dei demoni». La sigla sigismondea denuncia la sfrontatezza del signore di Rimini nell’essersi assimilato al codice ‘VV’: infatti, se per un verso la S suggerisce il numero 5, per altro la I ammicca alla sagoma di una colonna. Sotto questo aspetto c’è poi chi finanche ipotizza il ruolo precorritore della sigla sigismondea dell’originario simbolo valutario americano. 



Nella cella dinastica del Tempio Malatestiano di Rimini si trova il celebre affresco pierfrancescano con Sigismondo in ginocchio di profilo al centro della scena che prega l’omonimo suo protettore san Sigismondo re dei Burgundi. Che si tratti di un gioco ‘al doppione’ è presto detto. Le due colonne salomoniche sono surrogate dalle lesene ai lati di Sigismondo mentre il codice ‘VV’ è criptato nelle 5 scanalature che le solcano invece che le solite ‘6’ come negli affreschi di Masaccio e negli edifici del Brunelleschi. Al codice ‘VV’ rinviano sia le sigle sigismondee sullo stemma in alto al centro sia il gesto delle mani giunte (5 dita su 5 dita) del signore di Rimini. Quanto ai due Sigismondo - l’uno santo, l’altro peccatore – il richiamo è alle colonne Jachin e Boaz tradizionalmente associate ai ruoli di ‘maestro’ e ‘allievo’.




Ad avallare il rinvio delle lesene alle colonne salomoniche concorre lo sfondo architettonico che fa presagire lo sviluppo delle campate laterali come suggeriscono i due verdi festoni parzialmente visibili. In questo modo il numero delle lesene sale a 4, tanti quanti sono punti equidistanti della base della Tetraktys. Trovandosi le due lesene centrali rispettivamente a 2/3 della base rispetto alla lesena più lontana (rammentiamo che la frazione 2/3 esprime il rapporto musicale di quinta), il rinvio è appunto al codice ‘VV’. 




Riguardo ai due levrieri, uno bianco e l’altro nero orientati in senso opposto accucciati alla base della lesena a destra, oltre a rinviare al principio di coincidenza degli opposti occultano il codice ‘VV’ associato alle colonne salomoniche. Infatti, le curve dorsali ricalcano il grafico (evidenziato in rosso) degli intervalli di quinta presenti nel diagramma della lira del pitagorico Filolao, diagramma che, qualche decennio più tardi, comparirà nella Scuola di Atene di Raffaello sulla lavagnetta retta dal giovane accanto a Pitagora. 



Sempre al principio di ‘coincidenza degli opposti’ si ispirano infine i simboli dello scettro, associato al principio maschile, e del globo associato al principio femminile, nelle mani di san Sigismondo, simboli controbilanciati sul lato opposto dalla ‘torre/maschio’ dentro la ‘finestra/tonda’.



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