Il Rinascimento,
l’epoca artistica per definizione, è anche quella che annovera il più alto
numero di opere ermetiche rimaste insolute. Opere di ingegni del calibro di
Piero della Francesca, Leonardo, Botticelli, Pontormo e Giorgione, tutti,
direttamente o indirettamente, partecipi di interessi pseudo e
proto-scientifici - quali la cabala, l’ermetismo, la negromanzia, la magia,
l’astrologia, l’alchimia ecc., -
interessi che convivono allegramente trasfondendosi l’uno nell’altro.
Ecco che avventurarsi in un simile ginepraio d’intenti è cosa ardua se non
s’intuisce il file ruoge concettuale che sottende ogni singola opera.
Una pista
indiziaria la fornisce l’impianto geometrico del Cenacolo di Leonardo da
Vinci. Le pareti laterali convergono prospetticamente come i lati di un
triangolo nel punto focale alle spalle di Gesù; su ciascun lato sono affissi 4
grandi pannelli scanditi frontalmente da 4 gruppi di apostoli con al
centro il Messia. L’allusione è al simbolo pitagorico della Tetraktys: il
triangolo equilatero formato da 10 punti di cui 9 laterali e 1
al centro.
La Tetraktys è un
simbolo ‘parimpari’ nel senso che concilia numeri pari e dispari: il 10
contenuto nel tri-angolo; il tri-angolo che ha per lato il 4.
In tal senso la Tetraktys esprime il principio universale di ‘coincidenza degli
opposti’, per certi versi assimilabile al simbolo taoista del T’ai chi che
armonizza i poli opposti Yin (principio femminile) e Yang
(principio maschile), ma estendibile a ogni sorta di dicotomia (ombra/luce,
notte/giorno, freddo/caldo, sotto/sopra, ecc.).
Il termine greco
Tetraktys [dal gr. τετρα)
richiama i primi quattro numeri naturali che sommati fanno 10 a sua
volta riducibile a 1 che è il numero del Demiurgo. Il metodo di sommare
un numero di più cifre per ricavarne una sola è nella mistica ebraica (la cabala)
chiamato ghematria.
Sorprende,
inoltre, che nella cabala il nome di Dio venga associato al simbolo del Tetragramma,
una dissimulazione della Tetraktys i cui punti sono sostituiti dalle 4
consonanti formanti il nome di Dio ‘Jahvé’. In verità, questa sorta di travaso
simbolico trova giustificazione nelle misure del Tempio di Salomone riportate
nel Primo Libro dei Re.
L’immagine in
alto a sinistra fornisce un’idea prospettica approssimativa del Tempio di
Salomone. La figura al centro mostra, in prospettiva, la navata con la cella
cubica del Sancta Sanctorum destinata a ospitare l’Arca dell’Alleanza. La terza
immagine in basso a destra riproduce la sezione della facciata su foglio
millimetrato: a un millimetro corrisponde un cubito ebraico (ca mezzo metro).
Nel Primo libro dei Re c’è scritto che la facciata misura 20 cubiti di larghezza
x 30 cubiti di altezza; sui lati si ergono le ali del
magazzino disposte su tre piani a riseghe di larghezze pari a: pianterreno 5
cubiti; piano centrale 6 cubiti; piano superiore 7 cubiti.
Figura A. Come si è detto, sul fondo della navata
si trova la cella cubica di 20 cubiti di lato o Sancta Sanctorum
destinata a ospitare l’Arca dell’Alleanza. Al suo interno sono collocati due
cherubini di legno d’ulivo con le ali spiegate, ciascun cherubino delimita uno
spazio quadrato di dimensione pari alla metà del Sancta Sanctorum.
Figura B. Nulla tuttavia ci dice il Primo
libro dei Re sulla disposizione delle colonne Jachin e Boaz tanto
celebrate negli ambienti muratori. D’altezza pari a 18 cubiti le
disporremo dunque nella stessa posizione simmetrica e centrale dei due
cherubini. Tracciando dalle estremità della base due rette oblique che
intercettano i punti apicali delle colonne è quindi possibile delimitare un triangolo
equilatero.
Figura C. Disegnando le diagonali interne alle
colonne e l’orizzontale passante per il loro punto d'intersezione per poi
intercettare i lati obliqui del triangolo, è possibile individuare i 10 punti
equidistanti della Tetraktys.
Ci chiediamo:
come poteva Salomone familiarizzare con la Tetraktys quattro secoli prima di
Pitagora? In verità i reperti archeologici collocano la redazione dei Libri
dei Re in epoca pitagorica!
Il processo di
cristianizzazione della Tetraktys è già un fatto compiuto nel passo giovanneo
della cacciata dei mercanti dal Tempio. Sta scritto che Gesù sferzò i mercanti
ammonendoli: «Distruggete questo Tempio e in 3 giorni lo farò risorgere»;
i Giudei obiettarono: «Questo Tempio è stato costruito in 46 anni e tu in 3
giorni lo farai risorgere?». La risposta del Messia manca sostituita dalla
glossa dell'evangelista secondo cui Gesù si riferiva non a un ‘tempio fisico’
ma al «Tempio del suo corpo»! In verità, il monito di Gesù di far
risorgere in 3 giorni ciò che è stato costruito in 46 anni ha del
contraddittorio, nel senso che il Figlio di Dio non necessita certo di 3 giorni
per ottemperare al miracolo: lo fa e basta! Ne deduciamo che i numeri 3 e 46
rivestono una valenza simbolica. Infatti la somma ghematrica di 46 (4 +
6) è 10, ossia il numero della Tetraktys. Perciò l’obiezione dei Giudei «Questo
Tempio è stato costruito in 46 anni e tu in 3 giorni lo farai risorgere»
andrebbe così riformulata: «come puoi tu conciliare il 10 con il 3?». La
risposta è ovviamente la Tetraktys: il tri-angolo formato da 10 punti.
La
cristianizzazione della Tetraktys prosegue con il Chrismon (☧), il simbolo che la leggenda vuole sia
apparso all’imperatore Costantino insieme alla scritta In hoc signo vinces*
prima della vittoriosa battaglia di ponte Milvio contro Massenzio. Le lettere
greche X (chi) e P (rho) sovrapposte, iniziali di Cristos,
oltre a inscriversi perfettamente nella Tetraktys ne rivelano la quintessenza
geometria. Battezzato in articulo mortis Costantino non abolì il culto
degli dei: se da un lato le sue monete riportano il Sol Invictus,
dall’altro l’Arco di Trionfo celebrativo della vittoria su Massenzio non reca
affatto il Chrismon! Inoltre, nel ruolo di Pontifex Maximus
Costantino pose le basi del cesaropapismo, la politica degli imperatori
bizantini prima, del Sacro Romano Impero dopo, che accentrava i poteri
spirituale e temporale nelle mani dell’imperatore.
Cesaropapisti furono gli imperatori svevi Hohenstaufen auto-investitisi
del sacerdozio veterotestamentario dei re d’Israele Davide e Salomone. È quanto
emerge dall’immagine di Enrico VI, figlio di Barbarossa e padre di Federico II.
L’imperatore regge con la mano destra lo
scettro imperiale con l’indice puntato verso un enigmatico cartiglio a forma di
'pi greco' (Õ) che regge con l’altra mano: un’allusione alle due colonne del Tempio di
Salomone? Un argomento, questo, che affronteremo nella seconda parte.
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